Spezia. Poche ore dopo #Mitilanza #N1
25\26 Febbraio 2017
Per alcuni appunti sulla #militanza della parola.
Il nostro futuro siamo noi. Nessuno è rimasto a guardare. Chi c'era ha agito. Chi c'era si è espresso. All'innesco segue lo sviluppo. All'analisi la proposta. Al programma la programmazione. Al sistema l'architettura, di più: l'organismo. Il canone è un orientamento, quando è norma va tradito, come il più grande maestro, che prescrive la cura come il medico. Non siamo una famiglia, non abbiamo bisogno di padri. Siamo una comunità (non di recupero, nonostante i fumi e i fiumi di alcol) fatta da altre comunità, ibride, transmediali, diffuse, reticolari, alveolari. Quello che è successo a La Spezia, nella due giorni di convegno, ha sancito il nostro riconoscimento dentro la coorte generazionale, l'attivazione del nostro (storico) processo costituente. Abbiamo poche urgenze su tutte: indagare-esplorare la nostra funzione sociale; riappropriarci dello spazio pubblico, sia esso fisico (poesia performativa) sia esso virtuale (la ricerca multimediale) o entrambe (l'installazione poetica), attraverso la produzione di nuovi oggetti per nuovi linguaggi e nuovi tipologie di fruizione, per un nuovo tipo di pubblicazione, di "fare pubblico"; rendere esplicito nella trasfigurazione rappresentativa il conflitto, nel discorso, per mutare l'attuale, inesistente orizzonte politico collettivo. E per realizzare questo progetto e affrontare la sfida dei tempi presenti, occorre costruire luoghi in cui discutere-sovvertire, al di là degli ambiti di dominio che ci vengono offerti dal mercato, perché la poesia è già dimensione di controllo, della lingua e del pensiero, e in quanto tale per esplodere in tutta la sua efficacia comunicativa ha bisogno strutturalmente di evadere i limiti, di celebrarsi nelle proprie contraddizioni intrinseche, per elevarsi a verso e sacralizzare il messaggio, colmando la distanza che esiste tra chi compie un atto, un gesto artistico, che per intenzione si vuole estetico, e chi lo decreta, lo esperisce, lo raccoglie perché è in grado di comprenderlo, lo accetta, perché ci riconosce come suoi interlocutori, all'interno di una dialettica che libera la relazione, nel momento stesso in cui la vincola la scrittura. E per fare questo dobbiamo confrontarci con la problematicità della questione cognitiva e la trasformazione in corso delle nuove tecnologie, che stanno riconfigurando complessivamente non soltanto l'idea che abbiamo della realtà ma la nostra stessa capacità-possibilità di incidere su di essa: va riconsiderata la disfunzione specifica, fenomenica, e l'attitudine all'altro, alla rivendicazione di uno statuto di diversità, al senso che comporta questa responsabilità, ogni volta che proviamo a formulare un'enunciazione poetica perché politica.
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