- Questi - disse il curato - non devono mica essere di imprese cavalleresche, bensì di poesia [...] non meritano di essere bruciati come gli altri, perché non fanno né faranno il male che hanno fatto quelli di cose cavalleresche; e son libri di buon senso, senza pregiudizio del prossimo.
- Ah, signore! - disse la nipote. - Ben potete mandarli a bruciare come gli altri, perché non ci vorrebbe molto che, una volta guarito il mio signore zio dalla malattia cavalleresca, con la lettura di questi gli venisse il ghiribizzo di farsi pastore e di andarsene per i boschi e per i prati cantando e suonando e, peggio ancora, di farsi poeta, che, come dicono, è malattia incurabile e attaccaticcia.
Edizione Sansoni - Firenze 1923/1927 traduzione Alfredo Giannini
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