---scrivo questo lenzuolo in risposta al post di
Rosaria Rosi Lo Russo sul poetry slam, a cui rimando ---
Cara Rosaria, non sarò per niente breve: è diverso tempo che sto abbozzando risposte a questa tua, con alterni risultati. Cerco di capire: il problema è lo slam in sé? Ovvero la gara specifica con le sue 3 regolette? O la gara in generale applicata alla poesia? Il movimento di umani che ci sta dietro dall'inizio, o in questo ultimo periodo? Sono gli slam fatti nei locali con mescita, mentre gli slam fatti nei teatri e nei festival vanno, se non bene, meglio? Sono gli slam in cui il microfono non si nega a nessuno o quelli con una selezione? Cambia se la selezione la fa Azzurra D'Agostino o Socci o tu o Lello etc? Si tratta di intrattenimento consumistico ogni qual volta c'è uno slam? Sempre così effimero e caduco? Al contrario dei libri? Invece di premere play, riprodurre, il solito discorso sulla enorme quantità di libri che nemmeno toccano uno scaffale e precipitano tra maceri e garage, spesso di minoica giustezza e senza che nessuno se ne sia accorto, né ne abbia letto mezza sillaba, cambio nastro e dico che non ho mai pubblicato un libro di poesia. Ci sono degli editori e degli amici che mi insultano da qualche anno, giustamente, perché non gli mando il materiale da stampare, rilegare e vendere nel mondo dell'editoria - e anche qui evito di avviare un discorso sull'intrattenimento consumistico dei libri in genere o dei libri di poesia (dammi due parole: Francesco Sole). La mia però scarsa propensione al pubblicare un primo libro non è solo inerzia, sindrome di Peter Pan verso l'ombra dell'inchiostro o di Stoccolma verso il palco, la mia è anche e soprattutto una questione di rispetto verso il libro: so che alcuni miei testi sulla pagina andrebbero tradotti, o riscritti, o buttati. Ho pubblicato invece poesie su carta in antologie o riviste, perché è altra cosa rispetto all' "opera". Allo stesso modo è più facile e più di buon senso, che un "amateur" si butti in uno slam, prima di preparare un suo reading o spettacolo poetico crossmediale di un'ora. L'amatorialità, ovvio, c'è in ogni arte: dalla scultura alla fotografia, dall'hockey su prato al porno. E come nel porno o nell'hockey su prato, anche nello slam non ci sono solo "amateur", e lo sai dato che ne hai organizzato uno in Piazza della Passera per un paio d'anni: era peraltro uno slam abbastanza duro, con pubblico vario, dalle ammiratrici del Luzi della prima ora impellicciate in prima fila, ai gonfi di rosso e di lampredotto e mutilati dal calcio storico vocianti sullo sfondo: una bella sfida, e un bel successo, tenerli tutti per due ore con la poesia. E se Simonelli agli slam non vince chi se ne frega: quand'è l'ultima volta che Simonelli a Firenze ha eseguito le sue poesie davanti a più di 2-300 persone come quella volta? In questi ultimi anni lo slam ha incrementato la sua presenza in molti contesti, alti e bassi, sbronzi e sobri, da Palazzo Grassi alla Spilleria di Gorgonzola, passando per quasi tutti i festival di poesia (e dell'asparago rosa) e palchi più importanti. Abbiamo ampliato il nostro spettro (-Bu!). Ci sono quelli per cui è una moda, e quelli per cui è un modo per non suicidarsi. Tornando al paragone con l'antologia: lo slam è un mezzo, una piccola parte della poesia orale, performativa, per intenderci. Ci sono antologie di poesia che ho letto e che mi hanno lasciato un segno, e altre che son rimaste ben ben incellofanate, così ci sono slam che mi restano impressi per anni e ancora ricordo, e altri completamente anonimi e volatilizzati, o indelebili in quanto orribili. Secondo me si può usare la parola poesia anche per lo slam senza troppi problemi: poesia a volte buona, a volte no, a volte d'intrattenimento, a volte no, a volte inadatta al palco e alla voce, a volte sì. Se poi proprio vogliamo essere più precisi per tenere tutto sotto lo stesso ombrello, a me piaceva un concetto che avevo trovato leggendo di poesia digitale dieci anni fà: "Sprachkunst", arte della lingua, concetto ovviamente impossibile a imporsi, ma in grado di comprendere fenomeni che l'accademia e la critica stentavano a studiare o incasellare.
Ora, permettimi di chiederti: in base a cosa si è concretizzata codesta tua analisi e relativo giudizio? Te lo chiedo non solo per mandare subito la slam police a manganellare questi slam che ultimamente ti hanno definitivamente convinto a bruciare e spargere il sale, ma anche perché il fenomeno è molto diverso da città a città, da regione a regione, da scena a scena, così come diverse e rapide sono le sue evoluzioni qui e là, anche solo restando in Italia. Lo slam è un movimento di aggregazione giovanile? Sarebbe per lo più auspicabile, ma non è solo questo. Ci sono slam (o scene) con un pubblico in età scolare, con per lo più ventenni, o trenta-quarantenni, o anche pensionati, o slam decisamente intergenerazionali. Talvolta c'è una correlazione tra l'età dell'organizzatore/mc e quella del pubblico. Nell'ultimo paio di anni mi pare ci sia stato in Italia un abbassamento dell'età media, e questo lo trovo un segnale positivo per il movimento e per la poesia in genere. Il primo problema della poesia, infatti, in Italia e non solo, continua, a mio avviso, a essere il pregiudizio di essere arte morta e mortalmente noiosa, buona solo per le autopsie scolastiche dell'obbligo, pregiudizio che si forma nelle scuole medie e superiori - alle elementari c'è ancora speranza. Lo slam dice al 14enne che la poesia può essere anche quella che scrive e ascolta lui, che la sua comunità di pari può decidere se rappresentarvisi, riconoscervisi. Può essere un modo di avvicinare alla lettura di poeti, contemporanei o del passato. La poesia di intrattenimento consumistico (libresca, digitale o orale che sia), abbatte il Mostro della Noia Mortifera Poetica, ma, sorpresa sorpresa, ne prende il posto e diventa il secondo Mostro: il Mostro dell'Intrattenimento Consumistico. Ecco, lo slam io non lo colloco come ponte tra il primo mostro (la noia) e il secondo mostro (l'intrattenimento), ma come ponte tra il secondo mostro (l'intrattenimento), e la tanto agognata poesia, l'Oggetto di Valore di questa nostra narrazione. Se in uno slam c'è chi non sa che si trova sul palco e boccheggia dal suo libro per la prima volta credendo che lo Spirito Santo propaghi le sue parole, se c'è Pippo Franco che prova le sue ultime battute in vita, ma se c'è anche una bella poesia, scritta ed eseguita al meglio, ecco, se ci sono cinquanta, cento, mille persone che hanno ascoltato quella poesia, per me è un successo. E ovviamente stiamo parlando di ricezione della poesia, non di vittoria della garetta. Si tratta di una strada praticabile anche per chi si interroga sul rapporto tra il pubblico e la poesia, come Balestrini in una sua nota, poesia. Nella mia esperienza la gara resta un valido stratagemma, un trucco. L'entraîneur che con la poesia ha poco o nulla a che spartire e che si trova in uno slam, lo vedo come parte del trucco, come un'esca per catturare il pubblico verso la poesia che lo seguirà sul palco di lì a poco: quasi un alleato. A volte nello stesso poeta o nella stessa poesia (non dico Sprachkuenstler o Sprachkunstwerk per semplicità), possono convivere questi due momenti. Jekyll e Hyde, Tyler Durden, John Malkovich.
Nel complesso delle centinaia di slam che ho visto in questi anni in Italia e all'estero, il bilancio è (siero) positivo, se non nell'inserto economia & finanza, almeno alla pagina società & cultura. La qualità media mi pare, pur se ondivaga, si stia alzando, soprattutto nell'esecuzione dal vivo, ma anche nella scrittura. Poi, certo, ci sono anche slam che fanno schifo, in parte o in tutto. Quando mi son capitati non mi è dispiaciuto del tutto, perché comunque Cassavetes me lo rivedrei e perché ho anche importato in Italia l'AntiSlam, la gara per la peggiore poesia: un momento di liberazione dai mipiace e di catarsi (addosso) come pochi. Certo negli slam ci son poesie o poeti che meglio si prestano, altre e altri meno; lo stesso brano in uno slam può essere valorizzato, mentre in un altro slam penalizzato. A volte la cornice giocosa aiuta, a volte no. C'è varietà, e non nel senso televisivo, nei modi di condurre, nei generi di poesia proposta. Non credo si possa parlare di "genere" slam: forse ci sono alcuni tratti comuni tra alcuni poeti che partecipano agli slam, ma per lo più son molto diversi, e anche tra i testi proposti dallo stesso autore ci possono essere grandi differenze. La critica accademica o letteraria, almeno per come l'ho lasciata qualche tempo fa, è piuttosto malmessa quando si tratta di analizzare brani di spoken word o spoken music, poesia orale, performativa, poesia, Sprachkunst: mancano le Sprachkunstgattungen. Ogni mattina mi alzo e penso: -mancano le Sprachkunstgattungen.
-Cos'è la poesia?- è una bella domanda che personalmente mi diverte lanciare in pasto a un centinaio di persone una sera. La gara con giudizio popolare fa porre in discussione la poesia in prima persona all'ascoltatore, secondo me meglio che nella cornice dell'assegnazione di un premio di poesia. Cerimonia alla quale l'ascoltatore acconsentirebbe un ascolto prono, distratto e bradipico, caso mai si fosse sognato di andarvi, cosa che capita piuttosto di rado (caduto della poesia per mano del Mostro di primo livello: La Noia Mortale). Personalmente mi ha fatto piacere che a uno slam qualcuno abbia detto: -ma questa non è poesia!- L'ho sempre preso come un bel complimento, grazie. Mi è successo di sentirlo a uno slam sia nel 2002 nel Museo di Caraglio per BIG Torino (e non Museu do Caralho BIG), che e nel 2017 a Ragusa.
Un altro punto: nello slam, a volte, non si respira gratuità o vacuità. Non gratuità o vacuità artistica, come accennavo sopra, ma neppure gratuità o vacuità sociale. C'è che quell'alcolista (alcolista vero e in atto, indesiderato nei bar del suo paese), quella sera non aveva bevuto perché voleva eseguire le sue poesie al meglio allo slam, davanti alla sua comunità (di alcolisti in potenza): voleva guadagnarsi un ruolo diverso: essere poeta, o almeno trovare qualcuno che lo ascoltasse per davvero, e qualcuno da ascoltare per davvero. E chi ha storto il naso quando l'applauso più forte di tutta la giornata di concerti era per l'alcolista, nonostante la qualità della sua proposta artistica non fosse, probabilmente, la migliore del giorno, quel qualcuno che ha storto il naso non ha capito che cosa c'era in ballo: la vita di "La Morte" - così lo chiamano. Bisogna poi andare allo Slam da Onça nella periferia Sussuarana di Salvador de Bahia per respirare in tutto e per tutto il senso di esistere comune grazie e attraverso la parola e la voce. A volte la protesta, anche lì, è quasi solo grido nero, a volte è poesia nera - ma in nessun caso mi verrebbe di scoraggiarli, o, tanto meno, di combatterli o avversarli. Prendere la parola è più facile che nella musica perché lo strumento è la tua voce ed è alla portata di tutti - e questo è un bene in quelle comunidade (favela), dove, grazie anche alla rete dello slam, si trova un modo di guerrilla, di dissentire e protestare contro un potere sempre più fascista, razzista, omofobo e così via. Un modo semplicemente di esistere e agire in società per quello che si è. -cosa faremo ora? -poesia, quegli stronzi non sopportano la poesia.- pubblica no amiche e amici brasiliani della scena dello slam dopo le elezioni. E che si faceva allo Slam da Onça tra una manche e l'altra? Si presentava un libro di un poeta che non partecipa agli slam, che parla del suo libro e non esegue nemmeno una poesia. Sono tantissimi i poeti che promuovono i loro libri, e i libri di altri, attraverso il circuito dello slam e dei sarau (diciamo open mic, meglio lesebuehne, ma non è lo stesso). Non c'è questo dualismo slam/libro: la strada può essere verso un Gesamtsprachkuenstler che spazia dal codex medievale al codice informatico, passando per lumièrismi e marconismi.
Tornando al discorso sociale, affatto gratuito o vacuo, vedo il movimento dello slam portare avanti istanze progressiste basilari, lotte come quella della parità dei diritti - in Messico e in Brasile ci sono gli Slam das Minas, come da noi Daniela Rossi aveva avviato il Pink Poetry Slam. Ora a Città del Messico ho partecipato a un incontro che si chiamava "Circulo de Hombres" che, ben lungi dal gentlmen's club londinese ottocentesco, metteva in discussione, guidato da uno psicologo, meccanismi e identità: un'iniziativa pubblica partita dalla scena slam, e stiamo parlando di Messico, non di Svezia. Come ha scritto Roberta Estrela D'Alva, che ha portato lo slam in Brasile, qualche giorno fà: "se ti piace lo slam e voti Bolsonaro, o non hai capito quello che è lo slam, o non hai capito quello che è Bolsonaro". E scorrere le pagine in rete degli amici poeti, slammer, sprachkuenstler, brasiliani che facevano propaganda sul palco con Haddad mi dava l'impressione che la poesia, quella poesia, non era davvero del tutto inoffensiva, ma in grado di muovere le masse - milioni di visualizzazioni sul tubo e migliaia di persone in piazza, per una giusta causa e non per farsi il solletico a vicenda. Mi chiedo se incontrarsi alle Giubbe Rosse sbiancate negli anni '30, mettendo tutto sui rispettivi piatti, valga di più o di meno che incontrarsi nell'anfiteatro della periferia di Salvador de Bahia oggi. Ma non c'è gara o dualismo neanche qui: chissà che chi si avvicina alla poesia con i centinaia slam e sarau che ci sono ogni mese a Salvador, non arrivi un giorno a leggersi: "Eros e Priapo". Mi ricordo a Parigi nel 2007 un ragazzetto che in poco tempo era passato dal rap, allo slam, al desiderare di leggersi Artaud, etc.
Lo slam è un organismo mutevole che può assumere e ospitare ogni tipo di poesia o di Sprachkunst, e sta anche ai "poeti performer" più riconosciuti, come te Rosaria, non abbandonare (o quantomeno non avversare) questo fronte, specie se davvero senti che della poesia che ti è più cara negli slam se ne respiri meno di prima. Non credo ci sia uno solo tra i partecipanti allo slam che non ambisca a migliorare la sua scrittura e la sua capacità di stare sul palco, o anche solo la sua competenza, e servono esperti e pluralità di voci, stili e poetiche. Comunque, anche se proprio te ne fossi rotta, non te ne vogliamo, ti vogliamo bene, e possiamo restare amici.