Enrico Marià, da "Precipita con me"
28 ottobre
Sul treno a seguire il Genoa in trasferta,
mentre gli altri dormono,
tiro fuori dallo zaino un libro che ho preso in prestito in biblioteca,
di solito non riesco mai a finirne uno
perché dopo un po' di pagine
mi chiedo cosa cazzo credo di trovarci
tra quelle parole che sfiorano appena la vita;
prima di metterlo via
guardo la foto che uso per tenere il segno
è un'immagine dei miei nipoti
scattata mentre stanno buttando le braccia al collo di mia sorella,
io odio le famiglie
perché ci sono da sempre, ma non hanno mai evitato niente,
non hanno impedito l'infelicità, le guerre, che tutto andasse a rotoli
e odio anche la mia,
ma non sopporto chi ne parla male ad alta voce
perché nei loro confronti, in fondo, mi sento in debito;
uscito dallo scompartimento
in bagno
apro i rubinetti lasciando scorrere l'acqua
come faceva mia madre
quando voleva che nessuno la sentisse piangere
e scagliato via da me stesso
come la città che mi lascio alle spalle dal finestrino
nel dolore che non riesco a soffocare
la mia incapacità di vivere non è altro che la mia incapacità di morire.