martedì 10 maggio 2011

Chiedilo a Fellini

Non capivo, per esempio, perché un film dal contenuto politico debba essere considerato a priori un bel film. E io, che non saprei mai fare un film politico in questo senso, mi sono sempre sentito escluso da una formula così prepotentemente sicura. La politica, intendo dire una visione politica della vita dove i problemi del vivere sono proposti e affrontati solo in termini collettivi, mi sembra una limitazione. Tutto ciò che rischia di cancellare, di nascondere, di alterare l'individuo e la sua privatissima storia, configurandosi in realtà astratte e schematiche, confondendosi nelle "categorie", nelle "classi", nelle "masse", debbo confessare che mi allontana istintivamente; tutta la buona volontà di capire, di familiarizzare, di rendermi partecipe, si scontra con questo mio limite invalicabile. Del resto, il delirio verbale con cui sistematicamente vengono presentati i problemi della società, sembra accuratamente escogitato per rendere ottusi, inerti, per isolare in un'esclusione irrimediabile. A volte la mia estraneità a una problematica politica, invece di restituirmi un sentimento di disagio e di imbarazzo, mi conforta, me ne sento protetto, penso di essere fortunato, e questo mi succede quasi ogni giorno, quando sui giornali, o per radio, o alla televisione assisto alla grande sarabanda informativa sulla politica italiana. Ma come si fa a sapere quello che veramente accade nel nostro paese, quando i dettagli più futili, le occasioni più insignificanti, le elaborazioni più gratuite e indecifrabili, ci vengono rovesciati addoso a valanga, in un'interminabile registrazione, ingombrante, logorroica, ridicolamente pensosa, fitta di intenzioni vagamente servili, più che servizievoli? È naturale dubitare che anche chi segue volonterosamente i temi e gli sviluppi del confronto politico di fondo, sia tagliato fuori da una vera conoscenza di ciò che realmente avviene, e quindi anche dalla possibilità più modesta di intervenire per modificarlo. O forse, le modalità stesse, lo stesso costume con cui si fa opera di informazione politica, sono la politica stessa e il suo costume.
E poi credo che uno dovrebbe tentare di fare quello che sa fare e, cosa ancora più importante, dovrebbe imparare a riconoscere in tempo che cos'è quello che sa fare. Le idee generali, i sentimenti di barricata, l'abbandono rivoluzionario, possono anche commuovermi per un certo tratto, poi improvvisamente mi svuotano, mi disancorano, non capisco più. Allora mi ritiro, torno sul terreno che mi è più congeniale, quello di rappresentare magari, una volta o l'altra, anche una rivoluzione, fallita. Forse non si può stare da tutte le parti. Penso che sia più utile per me e per quel che faccio, che io agisca ed operi là dove mi sembra di avere qualcosa da dire e forse gli strumenti per operare.
Se invece per politica si potesse intendere la possibilità di vivere insieme, di operare in una società di individui che abbiano rispetto per se stessi e che sappiano che la propria libertà finisce dove comincia la libertà degli altri, allora mi sembra che anche i miei film sono politici, in quanto parlano di queste cose; magari denunciandone l'assenza, rappresentando un mondo che ne è privo. Credo che tutti i miei film tentano di smascherare il pregiudizio, la retorica, lo schema, le forme aberranti di un certo tipo di educazione e del mondo che ha prodotto. Che altro si può fare? A me sembra che un discorso onesto sulla necessità di proiettarci su qualche cosa, un discorso sulla fiducia, sulla buona volontà, sugli obiettivi comuni, sia ancora pericolosissimo. Quando ascoltiamo chi parla così, immediatamente precipitiamo in uno stato infantile; c'è subito il pericolo, mortale, di abbandonarci, di affidarci, e c'è sempre qualcuno pronto a sfruttare questo abbandono, e a far ricominciare tutta la faccenda da capo, con gli stessi errori, gli stessi equivoci, le atrocità di sempre. Forse, smascherare la bugia, identificare e smantellare l'approssimativo o il falso, continua ad essere, per ora, l'unica risorsa - una sorta di irridente, precaria salvezza - della nostra storia fallimentare.

Adesso dobbiamo uscire, poi tra poco mettiamo pure dove abbiam letto queste cose

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