venerdì 10 settembre 2010

Il tempo materiale di Vasta


A volte accendo la televisione. Di pomeriggio fanno dei film. Don Camillo e Peppone, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. L'Italia capisce solo le maschere, i personaggi a una dimensione. Vieni avanti cretino. La paura del Sarchiapone. Appena un personaggio si fa più complesso diventa subito sospetto. Un giorno resto a guardare Tina Pica in Pane, amore e fantasia. Fa Caramella. Mi piace quando grida. Grida sempre. E borbotta e rimprovera. Moralizza. Penso abbia capito che una certa italianità è fatta in questo modo e vale la pena interpretarla. Una repubblica fondata sulla reprimenda. La voce che si ingrossa, la laboriosa fabbricazione del ruggito: poi il ruggito viene fuori, ci soffi sopra e ti accorgi che era schiuma.

In questi mesi, dopo la morte di Moro, il canone politico nazionale sta riorganizzando il suo impianto. Leone era già da anni irreale ed è saltato. La complessione fisica gelatinosa, la vocina adatta al belato, la mano che conficca scaramantica le corna per terra a scongiurare studenti e colera: non reggeva più. Al belato andava sostituito qualcosa di più consistente, di più aspro. Pertini è sempre Italia ma ha un'altra intonazione. Più adeguata ai tempi. Salda, severa, con quella parte di stordimento senile che rende tanto umani. E poi il passato partigiano, l'antifascismo, la fuga dal carcere politico; l'identità socialista, ma di un socialismo delle origini. Insomma, il simbolo giusto al momento giusto, il paese che rincolla i pezzi, la salvaguardia dell'unità nazionale guadagnata a strepiti e preamboli.

Tina pica, dunque, è perfetta. È Sandro Pertini donna. La stessa voce, lo stesso temperamento rude e sanguign
o. Quando però mi avvicino alo schermo e la annuso, avvolta nel suo sciallino traforato, sento un odore di incenso vecchio che arriva prima alle narici e poi alla gola. La sacrestia. Il turibolo. L'atmosfera tabernacolare. È un odore che nonostante l'assuefazione – è l'odore di Palermo e dell'Italia – ancora mi sconvolge. È anacronistico. Mi spalanca davanti neri interni piccolo-borghesi, rurali, vischiosi, un'estensione delle cartoline che passano all'Intervallo. Una massa di scialli, di centrini, gli ornamenti di vetro opaco, gli specchi d'armadio chiazzati. I bicchieri di cucina sui quali, come in un incubo traslucido, si riconoscono i sedimenti di saliva, strato su strato.

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