giovedì 1 settembre 2011

Anno luce di G.Genna


Seguimmo certe rotte in diagonale, noi umani, diretti alla fondazione della città. Ci stringeva il petto un mal d'Africa tenue e sofisticato, il sintomo della raffinatezza del passato. Cerchiammo lo spazio di fondazione, compimmo i dovuti sacrifici. La veccia cresceva nei campi incolti, da cui apprendemmo le arti magiche della seminagione, della raccolta, spinti dalle correnti elettriche dei nostri metabolismi, ricavando tempi lenti per le fioriture, in armonia con i cicli lunari, con il magnetismo delle lontane maree. Sottomettendoci ai duchi, erigendo le signorie e i memorabili vassallaggi, attraversando pestilenze decennali, che sfiguravano temporaneamente la nostra specie, fino alle scoperte che i minerali combusti e raffinati potevano indurre la materia a lottare contro se stessa, a frizionare scaglie di energia, a sfamarci, per porre termine allo spettro della penuria, per sedare il sisma dei nostri metabolismi. Elaborammo virtù, individuammo i vizi. Trascinammo una storia colossale. Erigemmo ciminiere, le convertimmo in archeologia industriale. Giungemmo esausti a un tempo privo apparentemente di senso, pronti ad auscultare i battiti della fame, quella violenza impostaci dai nostri metabolismi, che tante volte ci aveva trascinato oltre gli ostacoli. Abbiamo raffinato fino all'immaterialità i nostri metabolismi, congiungendoli con l'occulta supersottile sostanza dello spazio neutro. Mediante queste tecniche di magia noi sogniamo di abbandonare il pianeta, di erigere colonnati dorici sul suolo rosso del prossimo pianeta che abiteremo. Raffineremo le tecniche a punti impensabili, partendo dalla natura fossile di questi guardrail incrostati, partendo dalla mente prensile, dai lobi cerebrali opponibili di quest'uomo infossato a mezzobusto nella sua auto, che si dirige ombroso e letale verso il suo destino, in forma di regicida.

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