domenica 24 agosto 2014

Henry Miller I (sull'uomo bianco)

Quando ripenso a certi persiani, indù, arabi che conobbi, quando ripenso al carattere che rivelavano, alla grazia, alla tenerezza, all'intelligenza, alla santità, io sputo addosso ai conquistatori bianchi del mondo, ai britanni degenerati, ai tedeschi zucconi, ai francesi saccenti e vanitosi. La terra è un solo grande essere senziente, un pianeta saturo di uomini, un pianeta vivo che si esprime a balbettii; non è la casa della razza bianca o della razza nera o della razza gialla o della perduta razza azzurra, ma la casa dell'uomo e tutti gli uomini sono eguali di fronte a Dio ed avranno la loro occasione, se non ora fra un milione di anni. I piccoli fratelli bruni delle Filippine rifioriranno un giorno e gli indiani massacrati del Nord e del Sudamerica rivivranno un giorno per galoppar nelle pianure dove ora le grandi città eruttano fuoco e pestilenza. A chi l'ultima parola? All'uomo. La terra è sua perché egli è la terra, il fuoco, l'acqua, l'aria, la materia vegetale e minerale, il suo spirito che è cosmico, che è imperituro, che è lo spirito di tutti i pianeti, che si trasforma traverso di lui, traverso infinite manifestazioni. Aspettate voi, merde cosmococcotelegrafiche, demoni di pezzi grossi che attendete la riparazione delle tubature, aspettate sporchi conquistatori bianchi che avete insozzato la terra con i vostri piedi forcuti, i vostri strumenti, le armi, i germi infettivi, aspettate, tutti voi che ve ne state caldi a contare i vostri spiccioli, non è la fine. L'ultimo degli uomini avrà da dire la sua prima che sia finita. Fino all'ultima molecola senziente, giustizia dev'essere fatta e sarà fatta! Nessuno ne sortirà senza aver avuto la sua, nemmeno le merde cosmococciche del Nordamerica.

Da Tropico del Capricorno, traduzione di Luciano Bianciardi

Sì, la copertina non è quella giusta

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